Differenza tra bisogno e desiderio

Vi segnalo il mio nuovo post scritto per l’Espresso/Repubblica Blog.

Fontehttp://goo.gl/yrx7Dc

E quindi uscimmo a riveder le stelle” (Dante, Inferno XXXIV)

Molto spesso bisogno e desiderio, due parole così belle ed importanti, nel linguaggio comune vengono utilizzare come sinonimi. Immagino che sia capitato a tutti noi di affermare con la stessa accezione: “ho bisogno di riposare” o “desidero riposare”.

In questo post proverò a descrivere quali sono le differenze sostanziali e da quali spinte prendono l’avvio.

Mi ricordo che tanti anni fa ero convinto che i bisogni erano importanti mentre i desideri futili. L’idea era un po’ questa: pensavo che il bisogno nascesse da una esigenza precisa, c’era un malessere, un disequilibrio e quindi era necessario provare a soddisfarlo prima possibile. Il desiderio sembrava, viceversa, un qualcosa di astratto, come un’esigenza del superfluo. Se dovessi utilizzare un esempio concreto: il bisogno era l’acqua, il pane, qualcosa di fondamentale; il desiderio una caramella, qualcosa di buono ma superfluo.

Questa idea mi ha accompagnato per diverso tempo, poi ho iniziato ad esplorare meglio questi termini e mi sono accorto che tantissimi poeti, filosofi, psicologi, psicoanalisti e scienziati hanno scritto del desiderio come qualcosa di fondamentale per gli essere umani e allora mi sono incuriosito ed ho voluto approfondire…

Da queste letture e riflessioni ho tratto la differenza che vorrei raccontare in questo post, utilizzando non tanto le teorie, le definizioni, i concetti dei grandi pensatori ma l’idea che mi sono fatto io leggendo questi argomenti, parlando con le persone e ascoltandole durante il mio lavoro clinico di psicoterapeuta.

Quello che ho capito, in sintesi, è questo: il bisogno è qualcosa che parte dal corpo, nasce da una spinta interna. Questa spinta si può attivare sia da bisogni primari, fondamentali per la sopravvivenza come, ad esempio, mangiare, bere, dormire, scaldarsi, sia da bisogni secondari, meno urgenti ma altrettanto essenziali, come il bisogno di avere una bella casa, un lavoro, magari gratificante, una bella macchina, essere apprezzati dagli altri e via dicendo. Il bisogno parte da un oggetto che manca ed attiva un comportamento concreto per ottenerlo. Il risultato sarà il piacere per averlo ottenuto o la frustrazione per non esserci riusciti. Il ciclo del bisogno quindi si esaurisce nel soddisfacimento di una esigenza, più o meno importante. E poi si riparte con un nuovo bisogno e una nuova soddisfazione…

Questo ciclo può essere vitale, ma può essere anche il principio che domina le dipendenze: il mio corpo ha bisogno di una determinata sostanza, agisco per ottenerla, appena ottenuta mi calmo, passato l’effetto, si ricomincia.

Il desiderio ha invece una radice diversa, non è una mancanza che sta nel corpo, ma è un mancanza che sta fuori dal corpo, e non è una mancanza di un oggetto, sostanza o comportamento concreto, ma un vissuto, un processo, un’azione psichica che tende verso qualcosa. Il desiderio non ci porta alla soddisfazione immediata di qualcosa e nemmeno ci lascia immobili in attesa di qualcosa. È una spinta che ci mette in cammino verso una determinata direzione.

Il desiderio ci mette in movimento, ma per andare dove?

A questo punto vorrei fare un esempio concreto che mi consente di raccontare meglio ciò che ho compreso di questi due termini e spero possa aiutare chi legge a capire verso cosa ci spinge il desiderio, la direzione verso la quale ci porta.

Quando iniziamo una relazione sentimentale, l’altro è visto da noi come una persona che può soddisfare un nostro bisogno, ad esempio di compagnia, di affetto, un bisogno sessuale e così via. Sono spinte importanti ma se ci fermassimo a quelle, una volta raggiunte, potremmo non avere più bisogno dell’altro o, al contrario, continuare ad utilizzarlo per soddisfare gli stessi bisogni. A questo punto deve intervenire una nuova forza, un nuovo processo, ovvero il desiderio. Questo nuovo “strumento” che inseriamo nella coppia, si attiva quando sentiamo che vogliamo costruire qualcosa insieme all’altro e non solo utilizzarlo per soddisfare una nostra mancanza. Costruire, mettersi in cammino, con l’altro significa provare a conoscere profondamente il nostro partner, in definitiva provare ad amarlo. Quindi la strada verso la quale ci porta il desiderio è, molto semplicemente, l’amore.

Viste così le cose posso aggiungere che l’amore non è il punto di partenza di una coppia, ci si ama e poi si prova a stare insieme, a convivere il più possibile, con gli alti e i bassi della vita. L’amore, secondo la dimensione del desiderio, è il punto di arrivo di una relazione. Nessuna coppia si ama fin dall’inizio; all’inizio ci si può piacere, stare bene insieme, essere attratti, infatuati l’uno dall’altro, l’amore arriva dopo, quando lentamente e molto faticosamente si riesce a conoscere le proprie debolezze e perdonare le debolezze dell’altro. Per fare questo i bisogni da soli non bastano, ci si fermerebbe alle prime fasi, soddisfatti i quali l’amore vacillerebbe inevitabilmente.

In conclusione posso affermare che entrambi, bisogni e desideri, sono importanti.

Il bisogno è come un pulsante on/off, si accende quando ci serve qualcosa, si spegne quando non ci serve nulla. Il desiderio è invece una mappa, ci indica verso quale direzione andare e, nonostante le differenze individuali, tutti gli uomini sono nati per andare verso una direzione precisa, verso l’amore.

Differenza tra desiderio e godimento attraverso un racconto di Dino Buzzati

Vi segnalo il mio nuovo post scritto per l’Espresso/Repubblica Blog.

Fontehttp://emozioni.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/03/23/differenza-tra-desiderio-e-godimento-attraverso-un-racconto-di-dino-buzzati/

La differenza tra desiderio e godimento è un tema a me molto caro perché mi ha aiutato spesso ad orientarmi, come una buona mappa di navigazione, nel mondo. Il nostro comportamento oscilla, continuamente, tra i due poli e non è per nulla facile riuscire a seguire la via del desiderio come unica spinta verso la crescita e il benessere.

Vorrei descrivere brevemente la differenza e poi, però, lasciare la parola alla scrittore Dino Buzzati che, a mio avviso, ha rappresentato bene questa dimensione, in un racconto straordinario che si intitola: “Nuovi strani amici”.

Lo psicoanalista che più di altri ha descritto questa differenza è Jacques Lacan il quale sostiene che il desiderio non ha la stessa natura dei bisogni primari (sebbene siano essenziali per la sopravvivenza ) ma lo dobbiamo cercare altrove. Recalcati, psicoanalista che ha dedicato a Lacan tantissimi libri, afferma: “il desiderio umano non può esser schiacciato sulla soddisfazione del bisogno, non può essere sottomesso all’urgenza della sopravvivenza biologica”, il desiderio per Lacan è sempre desiderio dell’altro, è una relazione profonda di contatto con qualcuno. Se dovessi rappresentarlo con un’immagine direi che è un tendere verso… Non c’è immobilismo nel desiderio. Al contrario, il godimento, è fine a se stesso, continua Recalcati: “Il godimento fa a meno dell’altro perché è autistico per struttura, è godimento dell’Uno senza l’Altro, è godimento che non implica nessun scambio simbolico.” Il godimento è statico.

Dopo questa breve premessa ritorno al racconto di Buzzati…

Nell’immaginario comune, credenti o meno, l’inferno è sempre stato visto come il luogo della sofferenza eterna. Sofferenza fisica e psichica. Torture costanti, dolore, buio, fumo e tanta, tanta, solitudine. È probabile che le cose stiano così e valga per l’inferno quella famosa legge del contrappasso (dal latino contra e patior, “soffrire il contrario”) tanto cara a Dante.

E se invece la vera pena dell’inferno non fosse la sofferenza impressa per qualche dolore ma per l’assenza di qualcos’altro?

Il racconto racconto di Buzzati si apre con il protagonista, Stefano Martella, direttore di una società di assicurazioni, che si ritrova, dopo la morte in una bellissima città. È tutto così ordinato, pulito, bello che pensa subito di essere arrivato direttamente in Paradiso. Mentre passeggia si affianca una persona che si offre di accompagnarlo in giro per la città. Ad un angolo si ferma una macchina bella, bellissima, con dentro un autista in livrea che aspetta. “È la sua” le dice il suo accompagnatore, Francesco, che gli stava vicino. Giunsero ad un palazzo bellissimo e presto Stefano Martella scopre che era la sua nuova abitazione. “C’era tutto: saloni, studio, biblioteca, sala da biliardo, giardino, naturalmente, con campi da tennis, piscina, laghetto con pesci. E dappertutto servitori che aspettavano ordini.” Dopo aver visitato non tutta, sarebbe stato impossibile, ma una parte della casa, Francesco, il suo accompagnatore, gli propone di andare al circolo. Il Martella vi avrebbe trovato un gruppo di amici cari. Intanto, mentre uscivano, l’ex direttore di assicurazioni volle cavarsi una curiosità, con accento furbesco sussurrò alla sua guida: “E donne? Ce ne sono di graziose donnette?” “Che domande – fece l’altro – vuole che manchino proprio qui?”

Il circolo era fantastico, sembrava una residenza degna di un monarca, amici simpatici e tanto divertimento. Allora il Martella fece un’altra domanda, fondamentale: “e malattie? Neanche un raffreddore?” “Tranquillizzati – gli risposte un amico – inutile aspettarsi malattie, tanto non verranno. Non c’è dolore e quindi niente ospedali, manicomi, sanatori. E poi qui nessuno ha paura, di cosa dovremmo aver paura?”

“Neanche quando si fanno dei brutti sogni, degli incubi?! Disse il Martella. “E perché dovresti avere degli incubi? Gli rispose un altro.  Non credo neppure che si sogni, qui da noi.”.

Ad un certo punto il Martella, non sapendo più cosa chiedere dice: “ma desiderî, desiderî ne avrete, dico.”

“Desiderî di che, se abbiamo tutto. Che cosa resta da desiderare. Che cosa ci manca?

Né desiderî, né amore, né rimpianti, , né odî, né guerre, tutto assolutamente tranquillo.”

A questo punto un altro amico si alza e dice: “Cavatelo dalla mente. Qui siamo tutti felici, intesi? Niente ti costerà fatica, non sarai mai stanco, non avrai sete, mai ti farà male il cuore alla vista di una donna, ma dovrai aspettare la luce dell’alba rivoltandoti sul letto, come una liberazione.”

“Ha un bel passare il tempo, oggi è uguale a ieri, domani uguale a oggi, niente di male ci potrà mai succedere.”

Solo una cosa manca in quel post e Buzzati ci fa arrivare lentamente, manca il desiderio. Il desiderio si genera da un vuoto, da un’assenza che tutti gli esseri umani vorrebbero riempire. Non a caso il termine è composto dalla particella privativa “de” e  il termine “sidus”, “sideris” (plurale “sidera“), che significa stella. Dunque “desidera”, da cui “desiderio”, significherebbe, letteralmente, “condizione in cui sono assenti le stelle“.

Nel luogo dove si trova il Martella, non manca nulla, il problema è proprio questo, non c’è nulla da desiderare. E allora uno degli amici del circolo perdendo il controllo gli dice: “sei venuto qui a marcire, non hai ancora capito? A migliaia ne arrivano come te, ogni giorno lo sai? E trovano la loro automobile, il castello, i teatri, le donnine, gli spassi… e non hanno malattie, né amore, né ansie, né paure, né rimorsi, né desideri, né niente… Ma non l’hai ancora capito che noi siamo all’inferno?

Tutte le citazioni sono tratte dal racconto di Dino Buzzati “Nuovi strani amici”. Presente nel libro Paura alla scala. Oscar Mondadori, 1984.

Le due citazioni di Massimo Recalcati sono tratte dal suo libro: Ritratti del desiderio, Raffaello Cortina Editore, 2012.

Il gesto di Ettore: Padre e Guerriero

In occasione del 19 Marzo festa del papà ho scritto un nuovo post per Espresso/Repubblica Blog, dedicato all’eroe dell’Iliade: Ettore. “Nell’immancabile lotta tra i sostenitori di Achille e quelli di Ettore, io ho scelto con chi schierarmi.”  

Fonte: http://goo.gl/VStw42

Sappiamo, da sempre, che i due eroi principali descritti da Omero sono Achille per quanto riguarda l’Iliade e Ulisse per l’Odissea.

C’è però un terzo eroe che ritroviamo sulla scena del grande assedio alla città di Troia, ovvero: Ettore. Luigi Zoja (psicoanalista Junghiano), in un libro straordinario intitolato appunto “Il gesto di Ettore” lo descrive come l’eroe più intimo, modesto, privo di quella hybris (arroganza) tipica sia di Achille che di Ulisse. Ettore è contemporaneamente: Guerriero e Padre. Lui non combatte per la gloria personale, per essere ricordato nei secoli come il più valoroso dei guerrieri, combatte per difendere la sua gente dall’assedio, è un eroe che vive costantemente in relazione agli altri, agli affetti.

Ma qual è il gesto che lo consegna alla storia come un padre degno di essere pienamente imitato nei secoli futuri? Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro. Ettore, come sappiamo, uccide Patroclo che si era travestito da Achille. Achille decide di riprendere la battaglia dopo che si era ritirato perché adirato con Agamennone, deciso soprattutto a vendicare il suo amato compagno. Ettore sa molto bene che Achille è il più valoroso dei achei, è un semidio, quasi invincibile (quasi perché sappiamo che ha una parte vulnerabile del suo corpo, il tallone). Ettore è consapevole che affrontando Achille morirà, eppure non si ritira, nonostante le preghiere delle donne che cercano di dissuaderlo. Prima fra tutte la moglie Andromaca che lo accosta piangendo e, prendendogli la mano, dice: “Infelice, proprio il tuo valore ti ucciderà. Non hai pietà del piccolo ancora in fasce, né di me, che sarò vedova tra poco, quando gli achei tutti insieme, ti assaliranno […] Ettore tu sei per me sposo e insieme padre, madre, fratello. Non fare un figlio orfano, me vedova.”

Il conflitto di Ettore è tra essere padre e marito vicino ai suoi affetti oppure scendere nella battaglia, morire e rischiare di consegnare per sempre Troia agli achei. Ma egli non ha alcun dubbio, i  suo principi e la sua etica lo spingono verso quello che deve essere, verso i suoi valori di combattente.

E infatti risponde ad Andromaca: “Lo so. So tutto questo. Ma avrei troppa vergogna dei troiani e delle troiane se non fossi in battaglia. Da sempre ho imparato a essere forte.” […]

“Dette queste parole, Ettore tende le braccia al figlio che si spaventa perché il padre ha l’armatura e l’elmo sovrastato da un’imponente chioma. A questo punto madre e padre sorridono. Ettore si sfila l’elmo, lo pone a terra e può abbracciare il figlio […] Formulando un augurio per il futuro, alza il figlio in alto con le braccia e con il pensiero. Continua Zoia: questo gesto sarà per tutti i tempi il marchio del padre. Ettore prega per il bambino, sfidando le leggi dell’epica in suo favore.” Ma qual è questa sfida, rivoluzionaria, di Ettore padre? La vera rivoluzione sta nell’augurio che pronuncia a favore del figlio: “Zeus e voi altri dei, rendete forte questo mio figlio. E che un giorno, vedendolo tornare dal campo di battaglia, qualcuno dica: È molto più forte del padre“.

Ettore è un padre che sfida la tradizione classica ma, a mio avviso, anche moderna, che vorrebbe il padre in competizione con il figlio, timoroso che il figlio lo superi nel tempo, un padre preso da se stesso, direi troppo spaventato dall’altro, figli compresi. Che vuole bene ai figli ma sempre all’interno di una strada ben segnata che lo vuole dominante. “Ma Ettore – prosegue Zoia – prega gli dei perché accordino proprio il contrario: che suo figlio diventi più forte di lui. Oggi non è facile immaginare un padre altrettanto generoso. Le interpretazioni prevalenti vedono nei rapporti padre-figlio una costante presenza d’invidia e di gelosia.”

Nel giorno della festa del papà il gesto di Ettore ci dà una speranza nuova, per noi tutti e per le generazioni future…

Le citazioni dell’Iliade sono tratte dal testo di Luigi Zoja (2000) Il gesto di Ettore. Bollati Boringhieri.

Emozioni: nei momenti di crisi esistenziale a farci rinascere è la tristezza

Qualche giorno fa ho rilasciato un’intervista per l’Agenzia Dire sulla funzione delle emozioni e sul ruolo della tristezza nei momenti di crisi e/o di passaggio della nostra vista.

Quale emozione e’ legata alle fasi di rinascita? “La tristezza– conferma Stagnitta- a livello biologico questa emozione rallenta il corpo, abbassa l’intensità e l’eccitazione. In un momento di disagio/lutto/separazione la prima reazione impulsiva che assale la persona è l’agire; non pensare, provando, spesso, solo un forte sentimento di rabbia. La tristezza, invece, ci aiuta a fermarci un attimo, a stare maggiormente in contatto con ciò che stiamo vivendo e magari ci permette di chiedere efficacemente aiuto agli altri. I momenti di crisi possono essere fonte di grande creatività, bisogna però lasciarsi pervadere dai vissuti anche negativi, senza farsi intrappolare da essi- conclude- e così provare l’esperienza simbolica, a volte anche molto reale, di rinascere”.

Leggi tutta l’intervistahttp://www.dire.it/newsletter/psicologia/anno/2016/marzo/22/?news=01

Cosa succede al nostro corpo quando proviamo le singole emozioni?

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Vi propongo un breve esercizio mentale: immaginate per un istante che durante una passeggiata in un bel praticello vicino casa vi troviate di fronte ad una grossa tigre che vi guarda con un certo languorino… Se non avessimo le emozioni o, molto più semplicemente, non riuscissimo a contattarle, probabilmente ad una analisi solo cognitiva penseremmo che il comportamento migliore da attuare è quello di proseguire tranquillamente lungo la strada, “del resto la tigre che cos’è se non un felino, un “micino” po’ più grande?” Secondo voi chi è che questa sera racconterà ai propri cari questo bizzarro incontro: tu o la tigre? Molto probabilmente la tigre, più tardi, in serata, racconterà al suo branco, mentre noi siamo circondati da patate e rosmarino, che di pomeriggio ha incontrato un umano che passeggiava e le andava incontro come se nulla fosse! Viceversa, è grazie alla paura che con molta probabilità, senza nemmeno fare grandi riflessioni, scapperemmo più velocemente possibile provando a fare l’unica cosa utile in questi casi: salvarsi.

Se dovessi rispondere, sintetizzando al massimo, a cosa servono le emozioni, potrei dire che: le emozioni sono strumenti, elaborati, di sopravvivenza.
In questo post descriverò la funzione che hanno le singole emozioni dal punto di vista fisiologico, per fare questo utilizzo la descrizione che ne ha scritto Daniel Goleman nel suo libro dal titolo: “Intelligenza emotiva”. Naturalmente le emozioni non hanno solo la funzione di attivare o meno il nostro corpo dal punto di vista fisiologico, hanno anche, e soprattutto, una grande funzione psicologica, che descriverò in altri post che seguiranno a questo.

Ecco cosa succede al nostro corpo e quali vantaggi abbiamo, secondo Goleman, quando proviamo le singole emozioni,

COLLERA – Quando siamo in collera, il sangue ci affluisce alle mani e questo rende più facile afferrare un’arma o sferrare un pugno all’avversario; la frequenza cardiaca aumenta e una scarica di ormoni, fra in quali l’adrenalina, genera un impulso di energia abbastanza forte da permettere un’azione vigorosa.

PAURA – Se abbiamo paura, il sangue fluisce verso i grandi muscoli scheletrici, ad esempio quelli della gambe, rendendo così più facile la fuga e al tempo stesso facendo impallidire il volto, momentaneamente meno irrorato (ecco da dove viene la sensazione che “si geli il sangue”). Allo stesso modo, il corpo si immobilizza, come congelato, anche solo per un momento, per far valutare se non convenga nascondersi. I circuiti dei centri cerebrali preposti alla regolazione della vita emotiva scatenano un flusso di ormoni che mette l’organismo in uno stato generale di allerta, preparandolo all’azione e fissando l’attenzione sulla minaccia che incombe per valutare quale sia la risposta migliore.

FELICITÀ – Nella felicità, uno dei principali cambiamenti biologici sta nella maggiore attività di un centro cerebrale che inibisce i sentimenti negativi e aumenta la disponibilità di energia, insieme all’inibizione dei centri che generano pensieri angosciosi. Questa configurazione offre all’organismo un generale riposo, e lo rende non solo disponibile ed entusiasta nei riguardi di qualunque compito esso debba intraprendere, ma anche pronto a battersi per gli obiettivi più diversi.

AMORE – L’amore, i sentimenti di tenerezza e la soddisfazione sessuale comportano il risveglio del sistema parasimpatico; in altre parole, si tratta della mobilitazione opposta a quella che abbiamo visto nella reazione di “combattimento o fuga” tipica della paura e della collera. La modalità parasimpatica si avvale di un insieme di reazioni che interessano tutto l’organismo e inducono uno stato generale di calma e soddisfazione tale da facilitare la cooperazione.

SOPRESA – Nella sorpresa il sollevamento delle sopracciglia consente di avere una visuale più ampia e di far arrivare più luce sulla retina. Questo permette di raccogliere un maggior numero di informazioni sull’evento inatteso, contribuendo alla sua comprensione e facilitando la rapida formulazione del miglior piano d’azione.

DISGUSTO – In tutto il mondo l’espressione del disgusto è la stessa, e invia il medesimo messaggio: qualcosa offende il gusto o l’olfatto, anche metaforicamente. Come già aveva osservato Darwin, l’espressione facciale del disgusto – il labbro superiore sollevato lateralmente mentre il naso accenna ad arricciarsi – indica il tentativo primordiale di chiudere le narici colpite da un odore nocivo o di sputare un cibo velenoso.

TRISTEZZA – La tristezza ha la funzione fondamentale di farci adeguare a una perdita significativa, ad esempio a una grande delusione o alla morte di qualcuno che ci era particolarmente vicino. Essa comporta una caduta di energia ed entusiasmo verso le attività della vita – in particolare per le distrazioni e i piaceri – e, quando diviene più profonda e si avvicina alla depressione, ha l’effetto di rallentare il metabolismo. La chiusura in se stessi che accompagna la tristezza ci dà la possibilità di elaborare il lutto per una perdita o per una speranza frustrata, di comprendere le conseguenze di tali eventi nella nostra vita e, quando le energie ritornano, di essere pronti per nuovi progetti. Può darsi che un tempo questa caduta di energia servisse a tenere i primi esseri umani vicini ai loro rifugi – e quindi al sicuro – quando erano tristi e perciò più vulnerabili.

Daniel Goleman (1996) Intelligenza emotiva, Bur, Milano, 1999.