L’ingrediente segreto di una psicoterapia

A Gennaio 2016, ancora in periodo di vacanza, scrivo un post per il mio blog su Espresso/Repubblica dedicato all’ingrediente segreto di una buona psicoterapia.

Che relazione possiamo rintracciare tra le conclusioni a cui sono arrivati i ricercatori del nuovo grande studio sulla schizofrenia condotto recentemente negli Stati Uniti e le ricerche di uno psicoanalista Austriaco del secolo scorso?

Era il 1945 e uno psicoanalista austriaco, naturalizzato negli Stati Uniti, René Spitz, era alle prese con un problema di cui non riusciva a comprendere bene molti aspetti. Stava osservando due gruppi di bambini, il primo era costituito da figli di donne detenute in un carcere femminile, che avevano la possibilità di accudire personalmente i loro figli in un asilo nido vicino alla struttura. Il secondo era composto da bambini abbandonati e ricoverati in un brefotrofio. Spitz notò che in entrambi i casi i bambini venivano adeguatamente nutriti e curati dal punto di vista igienico, eppure nel secondo gruppo, malgrado la presenza di operatrici competenti e disponibili, i bambini presentavano un quadro clinico preoccupante.

Molti di essi non crescevano regolarmente: soffrivano di evidenti ritardi nello sviluppo cognitivo e motorio, nonché di un marcato abbassamento delle difese immunitarie. Il 37,3% di essi morì entro il secondo anno di vita.

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