Talking cure – Curare con le parole

Spesso le persone si chiedono come è possibile che una psicoterapia basata principalmente sulla parola possa produrre un cambiamento, una trasformazione concreta, nella loro vita. È una domanda legittima anche perché nel linguaggio comune il termine “parole” si contrappone al termine “fatti”, ad esempio: “fatti, non parole!” oppure: “parole, parole, parole…” E via dicendo.

Il tema è molto complesso e risolverlo in un breve post è praticamente impossibile, riguarda una argomentazione che coinvolge più ambiti di ricerca difficili da sintetizzare. Però, nello stesso tempo, vorrei solo accennare a qualche elemento che piano piano potrebbe allargarsi e approfondirsi. Intanto posso iniziare con un ribaltamento delle precedenti frasi: “le parole sono come pietre…” In questo caso le parole assumono un significato concreto: le parole si possono scagliare e fare male come le pietre. Le parole, quindi, possono essere vuote, sganciate completamente dai fatti, oppure piene, dense di significati. Potrei dire che quando le parole sono piene vuol dire che trasportano le emozioni.

Quando una persona ha vissuto un trauma si dice che quell’esperienza è “indicibile”, non può essere ancora raccontata. Quando una persona non riesce a contattare le proprie emozioni si dice: che “non ha trovato le parole per dirlo…”, quando siamo sorpresi da un evento diciamo: “siamo rimasti senza parole”, letteralmente senza fiato. Quando siamo sommersi da una emozione le parole si “spezzano”.
Immagino le parole come dei vagoni di una miniera: entrano all’interno della montagna, arrivano in fondo, nella zona di scavo e ritornano in superficie piene di minerali. Quando i vagoni ritornano in superficie vuoti non vuol dire necessariamente che non hanno trovato materiali preziosi, ma probabilmente hanno trovato un muro che ancora non è stato aperto, il minerale è lì ma ancora non siamo riusciti ad entrarci in contatto.
I vagoni/parole possiamo pensarli come del contenitori/sonda che attraversano l’universo/mente, questi si legano, nel loro cammino, alle immagini, ai ricordi, alle emozioni, e poi riemergono per portare tutto questo materiale in superficie.
Per concludere questa breve riflessione mi viene in mente la “regolazione degli affetti” che la mamma produce nel bambino, fatta sicuramente di sguardi, di contatto fisico (calore) ma anche e soprattutto di parole. Il bambino cade, si fa male e piange e la mamma gli dice: “non preoccuparti, non è successo nulla, stai tranquillo, è tutto passato” e il bambino si calma. Ecco, questo è un esempio della parola che cura”.

La psicoterapia è davvero utile?

Quando penso se la psicoterapia è davvero utile, mi vengono in mente alcune immagini, che vorrei condividere con voi:

Immaginate di avere un problema e di poterne parlare con una persona che vi ascolta attentamente; questa persona non è legata a voi da un rapporto di intimità quindi vi ascolta in modo libero e senza pregiudizi. Vi ascolta in un luogo protetto, silenzioso, accogliente, con luci soffuse mentre ve ne state seduti comodi. Immaginate, inoltre, che è una persona competente, che vi aiuta a capire meglio i problemi facendovi delle domande e ascoltando le risposte in modo da ampliare il discorso piuttosto che chiuderlo con suggerimenti o consigli. In questo spazio avete anche la possibilità di raccontare la vostra storia personale, ripercorrerla, ricordare momenti brutti e belli, fasi di passaggio, persone importanti e via dicendo. Immaginate che quando vi succedere qualcosa di importante durante la settimana, vi ricordate qualcosa del vostro passato oppure vi ricordate un sogno, potete pensare che avete uno spazio dove raccontarlo, condividerlo. Sono conversazioni nelle quali provate delle emozioni vere e le stesse emozioni li fate provare al vostro interlocutore, che li potrà utilizzare per capire meglio ciò che state provando. Immaginate che, nel tempo, queste conversazioni oltre a farvi sentire accolti e protetti vi aiutino anche a comprendere molti aspetti dei vostri comportamenti, delle vostre scelte nella vita, dei vostri desideri (anche quelli che avete inibito per paura o per un sentimento d’inadeguatezza). Immaginate, infine, che in questo spazio si crei una vera e propria relazione dove, in modo protetto, avrete la possibilità di vivere situazioni che poi potrete estendere all’esterno.

SE LO IMMAGINATE COSÌ IL LAVORO PSICOTERAPEUTICO NON PUÒ CHE ESSERE UTILE! Che ne pensate?

Recensione al testo: Il Luogo delle storie e dintorni. Angelo Pennella

Leggendo il testo di Angelo Pennella mi sono reso conto che potrebbe essere considerato a pieno titolo un manuale di psicoterapia psicoanalitica.

L’ho immaginato come una sorta di pranzo della domenica dove il piatto principale è il “setting” attorno al quale ruotano le altre portate che sembrano amalgamarsi efficacemente fino a creare un tutto omogeneo.

Il testo ci descrive cos’è e a cosa serve il setting in psicoterapia psicoanalitica, arricchito da diverse teorie, partendo proprio dalle origini, dal Freud che per la prima volta pensò, da pioniere, a come organizzare lo spazio che accoglie la relazione terapeutica.

Pennella parte dall’assunto che il setting non può essere considerato semplicemente la “cornice” dentro la quale si sviluppa la relazione psicoterapeutica, ma soprattutto uno spazio fisico e mentale grazie al quale possono accadere certe dinamiche, un “precipitato degli eventi psicoanalitici”. Il setting serve per creare quella relazione che Winnicott ha descritto efficacemente con il termine “come sé”. Un po’ come nei giochi dei bambini nei quali un luogo si trasforma di volta in volta in uno spazio immaginario con regole e tempi precisi.

Ma, come ho accennato prima, poi il discorso si estende e Pennella procede con le altre portare, e così entra in campo il concetto di tempo con la sua doppia funzione di: tempo lineare e tempo circolare. Risulta interessante la citazione dell’autore a tal proposito: “l’aspetto che ci sembra interessante sottolineare è che la relazione psicoterapeutica implica una ricorsività degli incontri, cosa che rende il tempo del setting un tempo cadenzato. A prescindere infatti dal numero dei colloqui settimanali svolti – uno, due o tre – si tratta comunque di incontri che sono sempre effettuati negli stessi giorni e ore, condizione che agevola lo sviluppo di un “passo”, di una “andatura” e dunque di un ritmo in cui si alternano sistematicamente un prima e un dopo, un dentro e un fuori, rispetto ai quali si vive sia un senso di continuità che di discontinuità.”

Poi, ancora, il testo ci descrive cos’è e come si lavora con le emozioni in psicoterapia psicoanalitica. Qui mi soffermo un po’ perché sono molto interessanti le diverse citazioni che vengono proposte e che spaziano tra teorie che vedono le emozioni come una forma di regolazione sociale, alla simbolizzazione emozionale del contesto fino a giungere alle nuove teorie tratte dalla neurobiologia, una fra tutti quella di Damasio, autore contemporaneo che ha contribuito fortemente alla comprensione del concetto di “coscienza”, di “sé” ed ha descritto efficacemente in termini neurobiologici cosa sono e a cosa servono le emozioni. Dalle emozioni al concetto di “inconscio” il passo è così breve che potremmo dire che poi non c’è molta differenza: afferma Pennella: “d’altronde se è inevitabile parlare di emozioni quando si discute di psicoanalisi o di psicoterapia psicoanalitica è altrettanto inevitabile discutere del “luogo” a cui esse appartengono.” Nel testo viene sviluppata l’evoluzione del concetto di inconscio partendo dalle topiche freudiane per giungere all’illuminate teoria di Matte Blanco (logica simmetrica e asimmetrica) che ha dato l’avvio ai concetti moderni legati all’analisi della domanda sviluppate da Renzo Carli.

Il testo è ricco di citazioni ma anche di definizioni che ci aiutano ad entrare in contatto con le parole che quotidianamente utilizziamo nel nostro lavoro, un contatto però nuovo, dove le parole non sono sature di significato ma si modificano in relazione al contesto nel quale vengono espresse. La descrizione etimologica di una parola ci permette di ampliare il senso e così le parole si animano di nuovi significati a cui non avevamo pensato. Del resto questo processo è anche la strada che Pennella ci indica nel testo per parlare di psicoanalisi; per rimanere nella metafora alimentare: ci “scongela” le parole per farcene gustare i diversi sapori.

Il testo si chiude con un capitolo dedicato al racconto di due casi clinici, sempre legati al tema centrale del setting e così il passo dalla teoria alla pratica clinica è così breve che sembra quasi impercettibile.

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Il luogo delle storie e dintorni. Angelo Pennella. Franco Angeli, Milano, 2013.