Psicologia del movimento 5 Stelle

L’alba della democrazia partecipativa … Forse!

“I commentatori che nelle varie televisioni seguivano il processo elettorale, facendo congetture in mancanza di dati certi di valutazione, deducendo dal volo e dal canto degli uccelli la volontà degli dèi, lamentando che non sia più autorizzato il sacrificio degli animali per decifrare nelle loro viscere ancora palpitanti i segreti del cronos e del fato, si destarono improvvisamente dal torpore in cui le prospettive più che cupe dello scrutinio li aveva fatti precipitare […]. (José Saramago, Saggio sulla lucidità).

Ore 15,00 esatte del 25 febbraio 2013 in Italia, seguendo gli instant pool, tutto sembrava andato a buon fine, gli elettori si erano espressi in modo chiaro ed atteso: il PD maggioranza alla Camera e al Senato, il M5S ottimo risultato però senza il “boom”, il PDL sconfitto. Ore 18,00, qualcosa però vacilla: il PDL recupera e sembra quasi che ottenga il sorpasso, il PD arretra e il Movimento 5 Stelle sale sempre di più. Ore 23,00, risultati definitivi: M5S primo partito in Italia, il resto è noto. Che cosa è successo? Semplice: è finita l’era della democrazia rappresentativa ed è iniziata quella della democrazia partecipativa.

Il Movimento 5 Stelle alle prese con il potere Prima di entrare nel merito del tema che vorrei affrontare, faccio un breve premessa: ritengo che l’ingresso di questo movimento in Parlamento possa portare dei grossi benefici al sistema politico italiano. Primo fra tutti la rottura del modello che molti hanno definito “partitocratico” nel quale l’alternanza al potere non ha mai modificato concretamente il sistema dei privilegi presenti da sempre in Italia. Già solo l’idea che nelle commissioni e nelle sedute parlamentari ci saranno non politici di professione è una buona garanzia che gli equilibri precedenti saranno, almeno in parte, stravolti. Penso ad esempio ai report che gli eletti 5 Stelle faranno, come hanno promesso, su tutto ciò che avverrà in parlamento, alla trasparenza, alla comunicazione orizzontale tramite la rete, ecc. La domanda che tutti si stanno ponendo in questo momento non è più quella di capire perché questo movimento ha avuto un così grande successo, la risposta ormai è chiara: la politica tradizionale, fatta dai professionisti politicanti, è fallita! La vera domanda oggi èse questo movimento sarà in grado di governare in modo veramente efficace, come dicono, e se manterrà questa spinta rinnovatrice nel tempo. Queste sono, a mio avviso, le due domande fondamentali, alle quali proverò a rispondere in termini psicologici.

Parto dal gruppo, ovvero dal Movimento. Quand’è che possiamo dire che un gruppo funziona? La risposta, almeno sulla carta, è semplice: quando è capace di pensare. Questo significa che se un gruppo, facilitato dal proprio leader, è capace di formulare pensieri, questo si trasforma in un gruppo di lavoro, che ha come obiettivo lo sviluppo delle idee sulle quali si era formato. Il gruppo diviene orientato su un “prodotto” e le forze messe in campo dai membri servono tutte alla realizzazione di questo/questi obiettivi. In questo caso il gruppo non ha la necessità di produrre capri espiatori, non ha paura dell’esterno, non ha bisogno di esercitare un’autorità severa e permanente e soprattutto si trasforma, nel tempo, in un gruppo semipermeabile capace di accogliere nuove idee senza perdere la propria identità. Quando il gruppo, viceversa, non è capace di pensare, il movimento che si sviluppa al proprio interno è di tipo ripetitivo, i ruoli si cristallizzano, a volte si modificano ma con il solo obiettivo di mantenere un equilibrio che non consenta l’ingresso di nuove idee, si perde il riferimento al compito e quindi le persone che lo compongono si ritrovano a perpetuare, coattivamente, una dinamica reazionaria, anche quando sembra apparentemente che le idee sono di tipo progressiste.

Per guidare una protesta così potente, come quella del Movimento 5 Stelle, è stato necessario avere una guida carismatica, con una spinta populista, creando legami sulla base del nemico esterno. È stato necessario l’uso di un linguaggio forte, di rottura con il politichese di regime. È stato ancora più necessario esercitare un modello di leadership poco democratico perché il principale obiettivo era rompere un sistema di potere e quindi dare troppo spazio a sotto-gruppi, e ad alcune delle loro idee alternative, avrebbe messo in crisi la tenuta del movimento. Io ho condiviso e condivido questa impostazione. Non mi piace, però credo che era l’unica strada percorribile. Diversamente il movimento si sarebbe sfaldato in piccoli gruppi perdendo del tutto la spinta propulsiva.

Però ad un certo punto il movimento raggiunge l’obiettivo: essere il primo partito in Italia. Nasce quindi la necessità di governare ed ecco che il movimento si trova alla prima vera sfida: è veramente capace di costituirsi anche come forza di governo e non solo di opposizione e protesta? La risposta potrebbe essere sì, però ad una condizione: se il gruppo sarà capace di inserire i livelli di pensiero di cui ho scritto prima. In Sicilia e in altri contesti più locali ci sta riuscendo, adesso deve dimostrato a livello Nazionale, deve pensare, e deve farlo in grande.

Questa è una buona occasione di cambiamento, però questo non si è già sviluppato con le elezioni, è un cambiamento potenziale che gli elettori hanno affidato, in questa nuova tornata elettorale, ai politici/cittadini. Alcune dichiarazione degli ultimi giorni sembrano andare però in un’altra direzione. L’obiettivo dei 5 Stelle adesso non è più nemmeno la maggioranza relativa ma quella assoluta.
La domanda a questo punto è: perché in Italia per ottenere il consenso è necessario possedere un narcisismo patologico con conseguente delirio di onnipotenza?