Vi segnalo il mio nuovo post scritto per l’Espresso/Repubblica Blog.
Fonte: http://emozioni.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/03/23/differenza-tra-desiderio-e-godimento-attraverso-un-racconto-di-dino-buzzati/
La differenza tra desiderio e godimento è un tema a me molto caro perché mi ha aiutato spesso ad orientarmi, come una buona mappa di navigazione, nel mondo. Il nostro comportamento oscilla, continuamente, tra i due poli e non è per nulla facile riuscire a seguire la via del desiderio come unica spinta verso la crescita e il benessere.
Vorrei descrivere brevemente la differenza e poi, però, lasciare la parola alla scrittore Dino Buzzati che, a mio avviso, ha rappresentato bene questa dimensione, in un racconto straordinario che si intitola: “Nuovi strani amici”.
Lo psicoanalista che più di altri ha descritto questa differenza è Jacques Lacan il quale sostiene che il desiderio non ha la stessa natura dei bisogni primari (sebbene siano essenziali per la sopravvivenza ) ma lo dobbiamo cercare altrove. Recalcati, psicoanalista che ha dedicato a Lacan tantissimi libri, afferma: “il desiderio umano non può esser schiacciato sulla soddisfazione del bisogno, non può essere sottomesso all’urgenza della sopravvivenza biologica”, il desiderio per Lacan è sempre desiderio dell’altro, è una relazione profonda di contatto con qualcuno. Se dovessi rappresentarlo con un’immagine direi che è un tendere verso… Non c’è immobilismo nel desiderio. Al contrario, il godimento, è fine a se stesso, continua Recalcati: “Il godimento fa a meno dell’altro perché è autistico per struttura, è godimento dell’Uno senza l’Altro, è godimento che non implica nessun scambio simbolico.” Il godimento è statico.
Dopo questa breve premessa ritorno al racconto di Buzzati…
Nell’immaginario comune, credenti o meno, l’inferno è sempre stato visto come il luogo della sofferenza eterna. Sofferenza fisica e psichica. Torture costanti, dolore, buio, fumo e tanta, tanta, solitudine. È probabile che le cose stiano così e valga per l’inferno quella famosa legge del contrappasso (dal latino contra e patior, “soffrire il contrario”) tanto cara a Dante.
E se invece la vera pena dell’inferno non fosse la sofferenza impressa per qualche dolore ma per l’assenza di qualcos’altro?
Il racconto racconto di Buzzati si apre con il protagonista, Stefano Martella, direttore di una società di assicurazioni, che si ritrova, dopo la morte in una bellissima città. È tutto così ordinato, pulito, bello che pensa subito di essere arrivato direttamente in Paradiso. Mentre passeggia si affianca una persona che si offre di accompagnarlo in giro per la città. Ad un angolo si ferma una macchina bella, bellissima, con dentro un autista in livrea che aspetta. “È la sua” le dice il suo accompagnatore, Francesco, che gli stava vicino. Giunsero ad un palazzo bellissimo e presto Stefano Martella scopre che era la sua nuova abitazione. “C’era tutto: saloni, studio, biblioteca, sala da biliardo, giardino, naturalmente, con campi da tennis, piscina, laghetto con pesci. E dappertutto servitori che aspettavano ordini.” Dopo aver visitato non tutta, sarebbe stato impossibile, ma una parte della casa, Francesco, il suo accompagnatore, gli propone di andare al circolo. Il Martella vi avrebbe trovato un gruppo di amici cari. Intanto, mentre uscivano, l’ex direttore di assicurazioni volle cavarsi una curiosità, con accento furbesco sussurrò alla sua guida: “E donne? Ce ne sono di graziose donnette?” “Che domande – fece l’altro – vuole che manchino proprio qui?”
Il circolo era fantastico, sembrava una residenza degna di un monarca, amici simpatici e tanto divertimento. Allora il Martella fece un’altra domanda, fondamentale: “e malattie? Neanche un raffreddore?” “Tranquillizzati – gli risposte un amico – inutile aspettarsi malattie, tanto non verranno. Non c’è dolore e quindi niente ospedali, manicomi, sanatori. E poi qui nessuno ha paura, di cosa dovremmo aver paura?”
“Neanche quando si fanno dei brutti sogni, degli incubi?! Disse il Martella. “E perché dovresti avere degli incubi? Gli rispose un altro. Non credo neppure che si sogni, qui da noi.”.
Ad un certo punto il Martella, non sapendo più cosa chiedere dice: “ma desiderî, desiderî ne avrete, dico.”
“Desiderî di che, se abbiamo tutto. Che cosa resta da desiderare. Che cosa ci manca?
Né desiderî, né amore, né rimpianti, , né odî, né guerre, tutto assolutamente tranquillo.”
A questo punto un altro amico si alza e dice: “Cavatelo dalla mente. Qui siamo tutti felici, intesi? Niente ti costerà fatica, non sarai mai stanco, non avrai sete, mai ti farà male il cuore alla vista di una donna, ma dovrai aspettare la luce dell’alba rivoltandoti sul letto, come una liberazione.”
“Ha un bel passare il tempo, oggi è uguale a ieri, domani uguale a oggi, niente di male ci potrà mai succedere.”
Solo una cosa manca in quel post e Buzzati ci fa arrivare lentamente, manca il desiderio. Il desiderio si genera da un vuoto, da un’assenza che tutti gli esseri umani vorrebbero riempire. Non a caso il termine è composto dalla particella privativa “de” e il termine “sidus”, “sideris” (plurale “sidera“), che significa stella. Dunque “desidera”, da cui “desiderio”, significherebbe, letteralmente, “condizione in cui sono assenti le stelle“.
Nel luogo dove si trova il Martella, non manca nulla, il problema è proprio questo, non c’è nulla da desiderare. E allora uno degli amici del circolo perdendo il controllo gli dice: “sei venuto qui a marcire, non hai ancora capito? A migliaia ne arrivano come te, ogni giorno lo sai? E trovano la loro automobile, il castello, i teatri, le donnine, gli spassi… e non hanno malattie, né amore, né ansie, né paure, né rimorsi, né desideri, né niente… Ma non l’hai ancora capito che noi siamo all’inferno?
Tutte le citazioni sono tratte dal racconto di Dino Buzzati “Nuovi strani amici”. Presente nel libro Paura alla scala. Oscar Mondadori, 1984.
Le due citazioni di Massimo Recalcati sono tratte dal suo libro: Ritratti del desiderio, Raffaello Cortina Editore, 2012.