Riflessione sulla felicità

Il mio nuovo post scritto per Espresso/Repubblica Blog, in questo caso mi cimento con l’ambizioso concetto di felicità che poi non è un concetto ma una meta, realmente realizzabile, almeno in parte su questa terra! 

“Cimentarsi con il concetto di felicità è certamente impresa molto complessa se affrontata partendo dalle infinite riflessioni che nei secoli sono state proposte su questo bellissimo e delicatissimo concetto. Impresa un po’ meno complessa se sviluppata intorno a tre semplici idee: vivere in modo attivo la vita, leggere i fatti della propria vita, soprattutto quelli avversi, come un disegno più grande, una mappa con parti ancora da esplorare e, soprattutto, avere un desiderio, una meta da raggiungere.” Leggete tutto l’articolo su: http://emozioni.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/07/08/breve-riflessione-sulla-felicita/

Differenza tra bisogno e desiderio

Vi segnalo il mio nuovo post scritto per l’Espresso/Repubblica Blog.

Fontehttp://goo.gl/yrx7Dc

E quindi uscimmo a riveder le stelle” (Dante, Inferno XXXIV)

Molto spesso bisogno e desiderio, due parole così belle ed importanti, nel linguaggio comune vengono utilizzare come sinonimi. Immagino che sia capitato a tutti noi di affermare con la stessa accezione: “ho bisogno di riposare” o “desidero riposare”.

In questo post proverò a descrivere quali sono le differenze sostanziali e da quali spinte prendono l’avvio.

Mi ricordo che tanti anni fa ero convinto che i bisogni erano importanti mentre i desideri futili. L’idea era un po’ questa: pensavo che il bisogno nascesse da una esigenza precisa, c’era un malessere, un disequilibrio e quindi era necessario provare a soddisfarlo prima possibile. Il desiderio sembrava, viceversa, un qualcosa di astratto, come un’esigenza del superfluo. Se dovessi utilizzare un esempio concreto: il bisogno era l’acqua, il pane, qualcosa di fondamentale; il desiderio una caramella, qualcosa di buono ma superfluo.

Questa idea mi ha accompagnato per diverso tempo, poi ho iniziato ad esplorare meglio questi termini e mi sono accorto che tantissimi poeti, filosofi, psicologi, psicoanalisti e scienziati hanno scritto del desiderio come qualcosa di fondamentale per gli essere umani e allora mi sono incuriosito ed ho voluto approfondire…

Da queste letture e riflessioni ho tratto la differenza che vorrei raccontare in questo post, utilizzando non tanto le teorie, le definizioni, i concetti dei grandi pensatori ma l’idea che mi sono fatto io leggendo questi argomenti, parlando con le persone e ascoltandole durante il mio lavoro clinico di psicoterapeuta.

Quello che ho capito, in sintesi, è questo: il bisogno è qualcosa che parte dal corpo, nasce da una spinta interna. Questa spinta si può attivare sia da bisogni primari, fondamentali per la sopravvivenza come, ad esempio, mangiare, bere, dormire, scaldarsi, sia da bisogni secondari, meno urgenti ma altrettanto essenziali, come il bisogno di avere una bella casa, un lavoro, magari gratificante, una bella macchina, essere apprezzati dagli altri e via dicendo. Il bisogno parte da un oggetto che manca ed attiva un comportamento concreto per ottenerlo. Il risultato sarà il piacere per averlo ottenuto o la frustrazione per non esserci riusciti. Il ciclo del bisogno quindi si esaurisce nel soddisfacimento di una esigenza, più o meno importante. E poi si riparte con un nuovo bisogno e una nuova soddisfazione…

Questo ciclo può essere vitale, ma può essere anche il principio che domina le dipendenze: il mio corpo ha bisogno di una determinata sostanza, agisco per ottenerla, appena ottenuta mi calmo, passato l’effetto, si ricomincia.

Il desiderio ha invece una radice diversa, non è una mancanza che sta nel corpo, ma è un mancanza che sta fuori dal corpo, e non è una mancanza di un oggetto, sostanza o comportamento concreto, ma un vissuto, un processo, un’azione psichica che tende verso qualcosa. Il desiderio non ci porta alla soddisfazione immediata di qualcosa e nemmeno ci lascia immobili in attesa di qualcosa. È una spinta che ci mette in cammino verso una determinata direzione.

Il desiderio ci mette in movimento, ma per andare dove?

A questo punto vorrei fare un esempio concreto che mi consente di raccontare meglio ciò che ho compreso di questi due termini e spero possa aiutare chi legge a capire verso cosa ci spinge il desiderio, la direzione verso la quale ci porta.

Quando iniziamo una relazione sentimentale, l’altro è visto da noi come una persona che può soddisfare un nostro bisogno, ad esempio di compagnia, di affetto, un bisogno sessuale e così via. Sono spinte importanti ma se ci fermassimo a quelle, una volta raggiunte, potremmo non avere più bisogno dell’altro o, al contrario, continuare ad utilizzarlo per soddisfare gli stessi bisogni. A questo punto deve intervenire una nuova forza, un nuovo processo, ovvero il desiderio. Questo nuovo “strumento” che inseriamo nella coppia, si attiva quando sentiamo che vogliamo costruire qualcosa insieme all’altro e non solo utilizzarlo per soddisfare una nostra mancanza. Costruire, mettersi in cammino, con l’altro significa provare a conoscere profondamente il nostro partner, in definitiva provare ad amarlo. Quindi la strada verso la quale ci porta il desiderio è, molto semplicemente, l’amore.

Viste così le cose posso aggiungere che l’amore non è il punto di partenza di una coppia, ci si ama e poi si prova a stare insieme, a convivere il più possibile, con gli alti e i bassi della vita. L’amore, secondo la dimensione del desiderio, è il punto di arrivo di una relazione. Nessuna coppia si ama fin dall’inizio; all’inizio ci si può piacere, stare bene insieme, essere attratti, infatuati l’uno dall’altro, l’amore arriva dopo, quando lentamente e molto faticosamente si riesce a conoscere le proprie debolezze e perdonare le debolezze dell’altro. Per fare questo i bisogni da soli non bastano, ci si fermerebbe alle prime fasi, soddisfatti i quali l’amore vacillerebbe inevitabilmente.

In conclusione posso affermare che entrambi, bisogni e desideri, sono importanti.

Il bisogno è come un pulsante on/off, si accende quando ci serve qualcosa, si spegne quando non ci serve nulla. Il desiderio è invece una mappa, ci indica verso quale direzione andare e, nonostante le differenze individuali, tutti gli uomini sono nati per andare verso una direzione precisa, verso l’amore.

Differenza tra desiderio e godimento attraverso un racconto di Dino Buzzati

Vi segnalo il mio nuovo post scritto per l’Espresso/Repubblica Blog.

Fontehttp://emozioni.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/03/23/differenza-tra-desiderio-e-godimento-attraverso-un-racconto-di-dino-buzzati/

La differenza tra desiderio e godimento è un tema a me molto caro perché mi ha aiutato spesso ad orientarmi, come una buona mappa di navigazione, nel mondo. Il nostro comportamento oscilla, continuamente, tra i due poli e non è per nulla facile riuscire a seguire la via del desiderio come unica spinta verso la crescita e il benessere.

Vorrei descrivere brevemente la differenza e poi, però, lasciare la parola alla scrittore Dino Buzzati che, a mio avviso, ha rappresentato bene questa dimensione, in un racconto straordinario che si intitola: “Nuovi strani amici”.

Lo psicoanalista che più di altri ha descritto questa differenza è Jacques Lacan il quale sostiene che il desiderio non ha la stessa natura dei bisogni primari (sebbene siano essenziali per la sopravvivenza ) ma lo dobbiamo cercare altrove. Recalcati, psicoanalista che ha dedicato a Lacan tantissimi libri, afferma: “il desiderio umano non può esser schiacciato sulla soddisfazione del bisogno, non può essere sottomesso all’urgenza della sopravvivenza biologica”, il desiderio per Lacan è sempre desiderio dell’altro, è una relazione profonda di contatto con qualcuno. Se dovessi rappresentarlo con un’immagine direi che è un tendere verso… Non c’è immobilismo nel desiderio. Al contrario, il godimento, è fine a se stesso, continua Recalcati: “Il godimento fa a meno dell’altro perché è autistico per struttura, è godimento dell’Uno senza l’Altro, è godimento che non implica nessun scambio simbolico.” Il godimento è statico.

Dopo questa breve premessa ritorno al racconto di Buzzati…

Nell’immaginario comune, credenti o meno, l’inferno è sempre stato visto come il luogo della sofferenza eterna. Sofferenza fisica e psichica. Torture costanti, dolore, buio, fumo e tanta, tanta, solitudine. È probabile che le cose stiano così e valga per l’inferno quella famosa legge del contrappasso (dal latino contra e patior, “soffrire il contrario”) tanto cara a Dante.

E se invece la vera pena dell’inferno non fosse la sofferenza impressa per qualche dolore ma per l’assenza di qualcos’altro?

Il racconto racconto di Buzzati si apre con il protagonista, Stefano Martella, direttore di una società di assicurazioni, che si ritrova, dopo la morte in una bellissima città. È tutto così ordinato, pulito, bello che pensa subito di essere arrivato direttamente in Paradiso. Mentre passeggia si affianca una persona che si offre di accompagnarlo in giro per la città. Ad un angolo si ferma una macchina bella, bellissima, con dentro un autista in livrea che aspetta. “È la sua” le dice il suo accompagnatore, Francesco, che gli stava vicino. Giunsero ad un palazzo bellissimo e presto Stefano Martella scopre che era la sua nuova abitazione. “C’era tutto: saloni, studio, biblioteca, sala da biliardo, giardino, naturalmente, con campi da tennis, piscina, laghetto con pesci. E dappertutto servitori che aspettavano ordini.” Dopo aver visitato non tutta, sarebbe stato impossibile, ma una parte della casa, Francesco, il suo accompagnatore, gli propone di andare al circolo. Il Martella vi avrebbe trovato un gruppo di amici cari. Intanto, mentre uscivano, l’ex direttore di assicurazioni volle cavarsi una curiosità, con accento furbesco sussurrò alla sua guida: “E donne? Ce ne sono di graziose donnette?” “Che domande – fece l’altro – vuole che manchino proprio qui?”

Il circolo era fantastico, sembrava una residenza degna di un monarca, amici simpatici e tanto divertimento. Allora il Martella fece un’altra domanda, fondamentale: “e malattie? Neanche un raffreddore?” “Tranquillizzati – gli risposte un amico – inutile aspettarsi malattie, tanto non verranno. Non c’è dolore e quindi niente ospedali, manicomi, sanatori. E poi qui nessuno ha paura, di cosa dovremmo aver paura?”

“Neanche quando si fanno dei brutti sogni, degli incubi?! Disse il Martella. “E perché dovresti avere degli incubi? Gli rispose un altro.  Non credo neppure che si sogni, qui da noi.”.

Ad un certo punto il Martella, non sapendo più cosa chiedere dice: “ma desiderî, desiderî ne avrete, dico.”

“Desiderî di che, se abbiamo tutto. Che cosa resta da desiderare. Che cosa ci manca?

Né desiderî, né amore, né rimpianti, , né odî, né guerre, tutto assolutamente tranquillo.”

A questo punto un altro amico si alza e dice: “Cavatelo dalla mente. Qui siamo tutti felici, intesi? Niente ti costerà fatica, non sarai mai stanco, non avrai sete, mai ti farà male il cuore alla vista di una donna, ma dovrai aspettare la luce dell’alba rivoltandoti sul letto, come una liberazione.”

“Ha un bel passare il tempo, oggi è uguale a ieri, domani uguale a oggi, niente di male ci potrà mai succedere.”

Solo una cosa manca in quel post e Buzzati ci fa arrivare lentamente, manca il desiderio. Il desiderio si genera da un vuoto, da un’assenza che tutti gli esseri umani vorrebbero riempire. Non a caso il termine è composto dalla particella privativa “de” e  il termine “sidus”, “sideris” (plurale “sidera“), che significa stella. Dunque “desidera”, da cui “desiderio”, significherebbe, letteralmente, “condizione in cui sono assenti le stelle“.

Nel luogo dove si trova il Martella, non manca nulla, il problema è proprio questo, non c’è nulla da desiderare. E allora uno degli amici del circolo perdendo il controllo gli dice: “sei venuto qui a marcire, non hai ancora capito? A migliaia ne arrivano come te, ogni giorno lo sai? E trovano la loro automobile, il castello, i teatri, le donnine, gli spassi… e non hanno malattie, né amore, né ansie, né paure, né rimorsi, né desideri, né niente… Ma non l’hai ancora capito che noi siamo all’inferno?

Tutte le citazioni sono tratte dal racconto di Dino Buzzati “Nuovi strani amici”. Presente nel libro Paura alla scala. Oscar Mondadori, 1984.

Le due citazioni di Massimo Recalcati sono tratte dal suo libro: Ritratti del desiderio, Raffaello Cortina Editore, 2012.

Psicologia del testimone silenzioso

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In questo post vorrei descrivere, ovviamente dal punto di vista psicologico, la necessità, nella nostra vita, della presenza di un testimone senza il quale le nostre esperienze non avrebbero senso o, peggio, non avrebbero limiti.

“Inizio con una barzelletta raccontata nel testo di Žižek:

Un povero contadino scampato a un naufragio si ritrova solo su un’isola deserta insieme a Cindy Crawford. Quando, dopo aver fatto sesso con il contadino, lei gli chiede come sia stato, lui risponde che è stato fantastico, ma che, per potersi dire completamente soddisfatto, ha ancora una piccola richiesta da farle: potrebbe vestirsi come il suo migliore amico, indossare un paio di pantaloni e dipingersi dei baffi sul viso? La rassicura: non è segretamente un pervertito, ma del resto sarà lei stessa a poterlo verificare una volta assecondata la richiesta. Quando infine lei cede, lui le si avvicina, le assesta un colpetto nelle costole e le annuncia con la malizia della complicità virile: “sai cosa mi è successo? Ho appena fatto sesso con Cindy Crawford!

Questo terzo, sempre presente quale testimone, smentisce la possibilità di un piacere privato intatto e innocente.” (Slavoj Žižek (Leggere Lacan, Bollati Boringhieri, Torino, 2006).

Il tema è talmente importante che toccherebbe iniziare con una sfilza di citazioni tra le più quotate nel campo psicoanalitico, letterario e filosofico circa la presenza del terzo, ma proprio per lo stile che caratterizza questo blog ne farò a meno e proverò a descrivere questo concetto con le mie parole e le mie storie.

Credo che sarà capitato a tutti noi di avere, ad esempio, un diverbio con un amico e poi, quando lui va via, pensare che magari lo racconterà alla moglie quando rientrerà a casa e magari insieme ci giudicheranno. È una questione irrazionale, eppure spesso è così. Magari se l’amico in questione vivesse da solo, l’idea che rientrerà a casa dopo il nostro diverbio prenderebbe un’altra direzione, in quest’ultimo caso pottemmo provare un senso di colpa per averlo ferito e lasciato solo. Dicevo, è irrazionale perché osservando la cosa da un punto di vista, diciamo obiettivo, la presenza o meno del terzo non dovrebbe incidere sulla nostra discussione.

Pensiamo ad un’altra situazione che richiama proprio il titolo di questo post, ovvero della presenza di un testimone. Quando noi facciamo un’azione illecita (anche semplicemente buttare una carta a terra) a volte quello che ci preoccupa maggiormente non è il nostro “senso morale” che ci dice che non avremmo dovuta farla, ma il timore di essere scoperti a causa di un testimone, magari, non visibile, che potrebbe giudicarci e/o peggio denunciaci. A volte questo testimone esiste veramente, altre volte lo fantastichiamo noi, ma sempre è presente nella nostra mente, ed ha appunto la funzione di limitare le nostre azioni scorrette o, viceversa, essere un complice compiaciuto delle nostre azioni corrette o piacevoli (come nel caso della barzelletta).

Ma chi è questo testimone delle mie azioni che di volta in volta può assumere le sembianze di un capo, della migliora amica, del genitore, insegnante, di un estraneo qualunque è così via?

Lacan chiamava questo il Grande Altro e rappresenterebbe l’Ordine costituito, il Potere, il Sistema, ossia la struttura simbolica che definisce l’uomo in quanto animale culturale.

Questo “Grande Altro” è ben rappresentato nello straordinario “Decalogo” di Krzysztof Kieślowski, nel quale è presente la figura del testimone silenzioso.

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Il testimone nel film Il “Decalogo”

“Ogni episodio del Decalogo ha un cast differente, ma in tutti, con l’eccezione degli episodi 7 e 10, è presente la figura del “testimone silenzioso“, un personaggio che non parla mai, ma che assiste muto allo svolgimento delle vicende. Forse l’occhio di Dio? Forse la personificazione della coscienza? Forse un angelo? Il regista non ha mai rivelato il suo significato, né al pubblico, né all’attore stesso.” [fonte: Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Decalogo_%28film%29].

Vi ritrovate con questa spiegazione? Se sì, potete anche raccontare qualche vostra esperienza nei commenti.

Cos’è il desiderio in psicoanalisi?

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“Il 2000, centesimo anniversario dalla pubblicazione de L’Interpretazione dei sogni di Freud, fu accompagnato da una nuova ondata di proclami trionfalistici sulla morte della psicoanalisi: con i recenti progressi nelle scienze del cervello, essa è stata sepolta, insieme ai confessori religiosi e agli interpreti di sogni, nello sgabuzzino dell’oscurantista, prescientifica ricerca di significati nascosti al quale da sempre apparteneva. […] Eppure il funerale potrebbe essere prematuro, celebrato per un paziente che ancora ha una lunga vita davanti. In contrasto con le verità “evidenti” abbracciate dai detrattori di Freud, il mio obiettivo consiste nel dimostrare che il tempo della psicoanalisi è giunto solo adesso.” (Slavoj Žižek, 2006).

Ho iniziato questo post con la frase di Žižek perché concordo pienamente con essa, anch’io penso che è questo, più che mai, il tempo della psicoanalisi, e lo penso soprattutto perché da sempre essa si è occupata, e si occupa, di uno degli aspetti più profondi e affascinati, e soprattutto mai così attuale, dell’animo umano: il desiderio. Fin dalle origini la psicoanalisi è stata la “scienza” del desiderio e di ciò che lo contrasta, o, come scrive Recalcati: “Desiderio è e resta la parola chiave, la parola elettiva, della psicoanalisi.”

Ogni tanto viene fuori qualche articolo che ci dice che è stata scoperta la “particella” del desiderio oppure che finalmente hanno capito dove risiede il desiderio nel cervello, quale cibo e quali indumenti indossare per attivarlo e così via. Tutta roba che alla fine non aggiunge nulla alla nostra vita, e questo è vero soprattutto per il desiderio, perché esso non risiede in un luogo, potrei dire al contrario che risiede in un vuoto.

A questo punto allora tocca provare a chiarirci un po’ meglio le idee. Ma che cos’è il desiderio dal punto di vista psicoanalitico? Parto con la sua etimologia. Il termine desiderio deriva dalla composizione della particella privativa “de” con il termine latino sidus, sideris (plurale sidera), che significa stella. Dunque “desidera”, da cui “desiderio”, significherebbe, letteralmente, “condizione in cui sono assenti le stelle“. Sembra infatti che il termine abbia avuto origine dal linguaggio degli antichi aruspici che, trovando il cielo coperto dalle nuvole, non erano in grado di compiere le loro funzioni divinatorie, non potendo vedere le stelle, dalla cui osservazione traevano le loro profezie. In questi particolari momenti di assenza del cielo stellato, si accendeva dunque negli aruspici un desiderio profondo delle stelle, che proseguiva sino al loro nuovo apparire.

L’etimologia è importante perché ci dice che per desiderare è necessario avvertire una assenza, qualcosa che ci manca profondamente al punto da desiderarne la presenza. Per me questa è un’idea veramente affascinante, perché vuol dire che per desiderare dobbiamo svuotarci dalle mille cose di cui ci circondiamo ogni giorno e fare spazio a qualcosa che è sepolto, lì dentro di noi, e che fatica ad emergere.

Non dobbiamo confondere il desiderio con la motivazione o la volontà, il desiderio non è spinto dalla ragione, né, tantomeno, possiamo e dobbiamo accostare il desiderio al possesso. Ma, soprattutto, il desiderio non è autoreferenziale, narcisistico, al contrario, è fortemente relazionale, tende sempre verso l’altro.

Recalcati citando Lacan afferma: “L’esperienza del desiderio è un’esperienza di perdita di padronanza, di vertigine, di qualcosa che si dà a me stesso come  più forte della mia volontà. […] Il desiderio è l’esperienza di uno scivolamento, di un inciampo, di uno sbandamento, di una perdita di padronanza, di una caduta dell’Io. (M. Recalcati, p. 27, 2012.).

Per comprendere meglio ciò che sto dicendo provo a raccontare una storia, che, come sempre, è più efficace di mille teorie.

Nel film Interstellar di Christopher Nolan (quella che segue è una informazione semi Spoiler, ovvero non svelerò il finale del film, però ne racconterò alcuni aspetti, potete decidere se continuare oppure vedere il film e poi proseguire nella lettura…), il mondo si sta spegnendo molto velocemente, un vecchio scienziato invita un ex astronauta (Cooper) a partire per rintracciare alcuni astronauti che in precedenza erano partiti con la missione di trovare un nuovo mondo capace di ospitare l’umanità.

Cooper decide di partire lasciando sulla terra i suoi figli. Scopre, insieme ad alcuni compagni di viaggio, che esiste un pianeta che potrebbe essere colonizzato però, a seguito di diverse vicissitudini (che non racconto) non può rientrare sulla terra, almeno nel modo canonico di un ritorno con l’astronave.

A questo punto se Cooper non avesse lasciato sulla terra i suoi figli potrebbe benissimo decidere di non rischiare la vita e rimanere lassù. Potrebbe non essere mosso dall’idea, eroica, di salvare l’umanità. Ma lui “deve” rientrare perché percepisce un vuoto e quel vuoto sono i figli, in particolare la figlia (Murphy, chiamata così per l’omonima legge), che ha sofferto enormemente l’assenza del padre. In Cooper si accende il desiderio, vero, profondo, di ritrovare il contatto con l’altro. Per farlo perde la sua identità, la logica razionale ed entra in un “buco nero” un non luogo, disorientante grazie al quale può ricontattare la figlia.

Ecco, questo per me è una buona descrizione del desiderio.

Interessante anche il titolo del film che richiama, non so se volutamente, alla etimologia del termine desiderio di cui ho scritto prima.

Mi piacerebbe ricevere anche i vostri commenti su una esperienza di desiderio personale oppure immaginaria.

Testo citato nel post: Massimo Recalcati (2012), Ritratti del desiderio. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Questa una clip fotografica del film: https://www.youtube.com/watch?v=PVDhTnr7rUs
Etimologia del termine desiderio: http://www.enciclopediadebioetica.com/index.php/todas-las-voces/166-desiderio