Inizio questo nuovo post raccontandovi una favola:
Uno scorpione doveva attraversare un fiume, ma non sapendo nuotare, chiese aiuto ad una rana che si trovava lì accanto. Così, con voce dolce e suadente, le disse: “Per favore, fammi salire sulla tua schiena e portami sull’altra sponda.” La rana gli rispose “Fossi matta! Così appena siamo in acqua mi pungi e mi uccidi!” “E per quale motivo dovrei farlo?” incalzò lo scorpione “Se ti pungessi, tu moriresti ed io, non sapendo nuotare, annegherei!” La rana stette un attimo a pensare, e convintasi della sensatezza dell’obiezione dello scorpione, lo caricò sul dorso e insieme entrarono in acqua.
A metà tragitto la rana sentì un dolore intenso provenire dalla schiena, e capì di essere stata punta dallo scorpione. Mentre entrambi stavano per morire la rana chiese all’insano ospite il perché del folle gesto. “Perché sono uno scorpione…” rispose lui “E’ la mia natura!”
Molte persone conoscono la favola della rana e dello scorpione, non tutti però sanno che viene utilizzata spesso in psicologia per descrivere la difficoltà che noi tutti abbiamo quando, sebbene spinti da buone intenzioni, non riusciamo a fare ciò che ci eravamo ripromessi, in altre parole: seguiamo, in maniera disfunzionale, la nostra abitudine a farci del male.
La favola è interessante perché non ci racconta solo di un essere che è spinto a fare del male agli altri senza conseguenze per se stesso; è proprio l’opposto: nonostante lo scorpione sia consapevole che pungendo la rana annegherà anche lui, non riesce a trattenersi quando la “vocina” interna gli dice che lui è un animale che punge gli altri per sua stessa natura.
Quante volte c’è capitato di impegnarci nel dire che oggi sarà diverso, che non ricadremo nello stesso errore del giorno prima, che abbiamo capito e stiamo imparando dai nostri errori e poi puntualmente ci ritroviamo nelle stesse dinamiche? Ecco la favola indica proprio questa difficoltà.
Ma perché lo scorpione non è riuscito a trattenersi nel fare e nel farsi del male?
I motivi potrebbero essere tanti, ne vorrei accennare solo tre per sintetizzare qualche concetto psicologico di base:
1. I nostri comportamenti sono radicati nel tempo, sono la risultante dell’interazione di fattori genetici, ad esempio il temperamento, della qualità dell’accudimento, frutto della relazione con le persone più significative, i genitori e le relazione con l’esterno, ad esempio con gli amici nella scuola, nello sport ecc. Questo vuol dire che, in generale, è molto difficile pensare di modificare un assetto così ben radicato e primitivo.
2. La storiella ci parla, inoltre, della natura dello scorpione e ci dice anche che spesso i nostri comportamenti disfunzionali hanno qualche vantaggio secondario che non vorremmo cedere, perché ingannati dalla paura del nuovo, di una vita diversa. Alcuni aspetti del nostro carattere, anche se sono disfunzionali, rimangono comunque “familiari”: ci proteggono perché sono noti. Direbbe Freud: “rinunciamo a molti dei nostri desideri per salvaguardare la nostra stabilità”. Anche se sappiamo che è a volte conviene cambiare per non rimanere schiacciati dalla nostre stesse paure.
3. Infine l’invidia. L’invidia è un terzo elemento molto potente che ci spinge a distruggere gli aspetti buoni dell’altro anche a discapito di noi stessi. Preferiamo, inconsciamente, distruggere piuttosto che riconoscere che l’altro ha qualcosa che noi non possediamo.
Comunque, tutte le volte che penso a questa favola, mi resta sempre una domanda: perché mai la rana decide di credere allo scorpione? Su questo però bisogna aprire un nuovo capitolo della storia!
Vi vengono in mentre altri motivi che ci aiutano a spiegare il comportamento dello scorpione? Potete scriverli nel modulo dei commenti, in basso.