Emozioni: nei momenti di crisi esistenziale a farci rinascere è la tristezza

Qualche giorno fa ho rilasciato un’intervista per l’Agenzia Dire sulla funzione delle emozioni e sul ruolo della tristezza nei momenti di crisi e/o di passaggio della nostra vista.

Quale emozione e’ legata alle fasi di rinascita? “La tristezza– conferma Stagnitta- a livello biologico questa emozione rallenta il corpo, abbassa l’intensità e l’eccitazione. In un momento di disagio/lutto/separazione la prima reazione impulsiva che assale la persona è l’agire; non pensare, provando, spesso, solo un forte sentimento di rabbia. La tristezza, invece, ci aiuta a fermarci un attimo, a stare maggiormente in contatto con ciò che stiamo vivendo e magari ci permette di chiedere efficacemente aiuto agli altri. I momenti di crisi possono essere fonte di grande creatività, bisogna però lasciarsi pervadere dai vissuti anche negativi, senza farsi intrappolare da essi- conclude- e così provare l’esperienza simbolica, a volte anche molto reale, di rinascere”.

Leggi tutta l’intervistahttp://www.dire.it/newsletter/psicologia/anno/2016/marzo/22/?news=01

“Reactions” i nuovi pulsanti di Facebook che esprimono le emozioni

Mark Zuckerberg, a proposito dell’introduzione delle nuove Emoticons, in un suo post su Facebook, ha dichiarato che: “non sempre le persone vogliono condividere qualcosa di felice. A volte si vuole condividere qualcosa di triste o frustrante. La comunità Facebook ha chiesto più volte un pulsante “non mi piace” non tanto per esprimere antipatia verso i post degli amici, ma perché vuole esprimere empatia e farlo con una gamma più ampia di emozioni.”

Ecco come sono nati i nuovi “stati” che vengono chiamati Reactions, ovvero reazioni.”

Penso che la scelta di non inserire un “non mi piace” sia stata giusta. Immagino che il motivo prioritario sia legato al fatto che molti esperti di marketing ritengono che tale icona sui social avrebbe potuto inibire gli utenti, inducendoli a ridurre la pubblicazione di contenuti e renderli quindi meno attivi sui social.

Personalmente credo che a parte questa forma di timore, effettivamente realistica, il rischio era quello di polarizzare i sentimenti. Dopo aver letto un post saremmo stati costretti a due sole alternative (se non volevamo inserire un nostro commentare): buono o cattivo. Così invece ci sono diverse reazione che corrispondono, approssimativamente, alle emozioni primarie, che vorrei ricordare sono 7 (almeno per diversi autori). Più avanti vi dirò quali sono state escluse…

Nella prima parte del post vorrei descrivere i singoli pulsanti, immaginando quale potrebbe essere il loro reale utilizzo (l’uso più comune che si potrebbe fare di essi) alla luce anche delle relative emozioni che esprimono.

Nella seconda parte aggiungerò, invece, quello che considero un rischio nell’introduzione di questi nuovi “stati”, rischio importante al quale, a mio avviso, bisognerebbe fare molta attenzione. 

Leggi l’articolo intero suhttp://goo.gl/iDegCu

Cosa succede al nostro corpo quando proviamo le singole emozioni?

emozioni-paura-tigre

Vi propongo un breve esercizio mentale: immaginate per un istante che durante una passeggiata in un bel praticello vicino casa vi troviate di fronte ad una grossa tigre che vi guarda con un certo languorino… Se non avessimo le emozioni o, molto più semplicemente, non riuscissimo a contattarle, probabilmente ad una analisi solo cognitiva penseremmo che il comportamento migliore da attuare è quello di proseguire tranquillamente lungo la strada, “del resto la tigre che cos’è se non un felino, un “micino” po’ più grande?” Secondo voi chi è che questa sera racconterà ai propri cari questo bizzarro incontro: tu o la tigre? Molto probabilmente la tigre, più tardi, in serata, racconterà al suo branco, mentre noi siamo circondati da patate e rosmarino, che di pomeriggio ha incontrato un umano che passeggiava e le andava incontro come se nulla fosse! Viceversa, è grazie alla paura che con molta probabilità, senza nemmeno fare grandi riflessioni, scapperemmo più velocemente possibile provando a fare l’unica cosa utile in questi casi: salvarsi.

Se dovessi rispondere, sintetizzando al massimo, a cosa servono le emozioni, potrei dire che: le emozioni sono strumenti, elaborati, di sopravvivenza.
In questo post descriverò la funzione che hanno le singole emozioni dal punto di vista fisiologico, per fare questo utilizzo la descrizione che ne ha scritto Daniel Goleman nel suo libro dal titolo: “Intelligenza emotiva”. Naturalmente le emozioni non hanno solo la funzione di attivare o meno il nostro corpo dal punto di vista fisiologico, hanno anche, e soprattutto, una grande funzione psicologica, che descriverò in altri post che seguiranno a questo.

Ecco cosa succede al nostro corpo e quali vantaggi abbiamo, secondo Goleman, quando proviamo le singole emozioni,

COLLERA – Quando siamo in collera, il sangue ci affluisce alle mani e questo rende più facile afferrare un’arma o sferrare un pugno all’avversario; la frequenza cardiaca aumenta e una scarica di ormoni, fra in quali l’adrenalina, genera un impulso di energia abbastanza forte da permettere un’azione vigorosa.

PAURA – Se abbiamo paura, il sangue fluisce verso i grandi muscoli scheletrici, ad esempio quelli della gambe, rendendo così più facile la fuga e al tempo stesso facendo impallidire il volto, momentaneamente meno irrorato (ecco da dove viene la sensazione che “si geli il sangue”). Allo stesso modo, il corpo si immobilizza, come congelato, anche solo per un momento, per far valutare se non convenga nascondersi. I circuiti dei centri cerebrali preposti alla regolazione della vita emotiva scatenano un flusso di ormoni che mette l’organismo in uno stato generale di allerta, preparandolo all’azione e fissando l’attenzione sulla minaccia che incombe per valutare quale sia la risposta migliore.

FELICITÀ – Nella felicità, uno dei principali cambiamenti biologici sta nella maggiore attività di un centro cerebrale che inibisce i sentimenti negativi e aumenta la disponibilità di energia, insieme all’inibizione dei centri che generano pensieri angosciosi. Questa configurazione offre all’organismo un generale riposo, e lo rende non solo disponibile ed entusiasta nei riguardi di qualunque compito esso debba intraprendere, ma anche pronto a battersi per gli obiettivi più diversi.

AMORE – L’amore, i sentimenti di tenerezza e la soddisfazione sessuale comportano il risveglio del sistema parasimpatico; in altre parole, si tratta della mobilitazione opposta a quella che abbiamo visto nella reazione di “combattimento o fuga” tipica della paura e della collera. La modalità parasimpatica si avvale di un insieme di reazioni che interessano tutto l’organismo e inducono uno stato generale di calma e soddisfazione tale da facilitare la cooperazione.

SOPRESA – Nella sorpresa il sollevamento delle sopracciglia consente di avere una visuale più ampia e di far arrivare più luce sulla retina. Questo permette di raccogliere un maggior numero di informazioni sull’evento inatteso, contribuendo alla sua comprensione e facilitando la rapida formulazione del miglior piano d’azione.

DISGUSTO – In tutto il mondo l’espressione del disgusto è la stessa, e invia il medesimo messaggio: qualcosa offende il gusto o l’olfatto, anche metaforicamente. Come già aveva osservato Darwin, l’espressione facciale del disgusto – il labbro superiore sollevato lateralmente mentre il naso accenna ad arricciarsi – indica il tentativo primordiale di chiudere le narici colpite da un odore nocivo o di sputare un cibo velenoso.

TRISTEZZA – La tristezza ha la funzione fondamentale di farci adeguare a una perdita significativa, ad esempio a una grande delusione o alla morte di qualcuno che ci era particolarmente vicino. Essa comporta una caduta di energia ed entusiasmo verso le attività della vita – in particolare per le distrazioni e i piaceri – e, quando diviene più profonda e si avvicina alla depressione, ha l’effetto di rallentare il metabolismo. La chiusura in se stessi che accompagna la tristezza ci dà la possibilità di elaborare il lutto per una perdita o per una speranza frustrata, di comprendere le conseguenze di tali eventi nella nostra vita e, quando le energie ritornano, di essere pronti per nuovi progetti. Può darsi che un tempo questa caduta di energia servisse a tenere i primi esseri umani vicini ai loro rifugi – e quindi al sicuro – quando erano tristi e perciò più vulnerabili.

Daniel Goleman (1996) Intelligenza emotiva, Bur, Milano, 1999.

Inside out e le isole della personalità

Questo post è stato pubblicato su Huffington Post a Novembre 2015

Fonte: http://www.huffingtonpost.it/sergio-stagnitta/inside-out-nella-mente-di-uno-psicologo_b_8461068.html

Immaginate, per un momento, di essere in un parco di una piccola cittadina, in autunno, seduti in una panchina mentre osservate con piacere ed interesse l’interazione tra una mamma e un bambino piccolo, di 10 mesi circa. Stanno giocando distesi su di un prato pieno di foglie appena cadute giù da qualche albero. Il bambino ha in mano un pupazzetto di stoffa e lo avvicina al viso della madre, il pupazzetto gli sfugge di mano e la mamma decide di non raccoglierlo, allora il bambino si allunga per prenderlo, ma non ci arriva subito, si forza allungando al massimo le braccia e le dita. Non riuscendoci si spinge in avanti con tutto il corpo per coprire la breve distanza che lo separa dal giocattolo. In quel momento la madre dice “uuuuh! uuuuh!” in un crescendo dello sforzo vocale e respiratorio che va di pari passo con l’accelerazione dello sforzo fisico del bambino. Questa interazione è quella che lo psicoanalista svizzero Daniel Stern ha definito “sintonizzazione degli affetti”. La madre non tenta di imitare lo sforzo del bambino che prova a prendere il pupazzo ma si sintonizza con il suo sforzo e dà voce a quel vissuto. Questo tipo di interazione è esattamente quello che avviene in un lavoro psicoterapeutico. Prima ancora di capire il problema della persona, di interpretare, di aiutare, sostenere e via dicendo, il terapeuta prova a sintonizzarsi con i vissuti interni della persona che chiede aiuto, con le sue emozioni, dandogli voce, letteralmente tirandole fuori. Del resto il termine “emozione” proviene da “emovère” (ex= fuori + movere= muovere) letteralmente “portare fuori”, “smuovere”, in senso più lato, “scuotere”, “agitare”.

Spesso noi proviamo delle emozioni e non riusciamo a riconoscerle pienamente o perché particolarmente intense o, al contrario, perché troppo deboli, in questi casi abbiamo bisogno di una persona che ci aiuti a comprendere, insieme, cosa stiamo vivendo. Questo aspetto è presente nell’ultimo cartone della Pixar, ormai campione di incassi 2015, Inside Out, che come sapete racconta il mondo interno di una bambina di 11 anni che si trova nella difficile situazione di dover spostarsi con la propria famiglia in un’altra città, molto distante dai luoghi in cui è nata e cresciuta. Nel cartone viene descritta, in modo molto efficace e veritiero, come vive Riley dal punto di vista emotivo questa situazione di disagio. Molti hanno sostenuto, a ragione, che questo cartone è l’elogio della tristezza, nel senso che è proprio grazie alla tristezza che alla fine Riley riesce ad affrontare e superare il momento di crisi che anche una crisi evolutiva (non solo relativa al cambio di città), dovuta al passaggio dall’infanzia alla pre-adolescenza (pubertà). A mio avviso però il cartone è anche l’elogio della relazione, si capisce chiaramente che Riley riesce ad affrontare la crisi perché si ricorda che in un momento di grande difficoltà dell’infanzia, relativo ad un fallimento sportivo, i suoi genitori erano sintonizzati affettivamente, attraverso l’abbraccio e la consolazione, con lei. E questo le apre anche il ricordo successivo dell’abbraccio dei suoi amici.

Nella terapia, avviene qualcosa di molto simile. Il terapeuta si sintonizza con il disagio della persona, con le sue emozioni, assorbendole e restituendole attenuate, più morbide, delicate. La mente del terapeuta è aperta verso l’altro non solo attraverso le parole – e in generale attraverso gli aspetti cognitivi della loro comunicazione – ma, prima e soprattutto, verso ciò che passa a livello emotivo, in un dialogo silente che assomiglia molto alla relazione della mamma con il bambino che ho descritto all’inizio. Questo processo lentamente si sposta poi su di un piano più razionale, cognitivo, fino a diventare consapevolezza e quindi conoscenza di sé, dei propri disagi attuali e della propria storia personale. Ogni incontro terapeutico, in genere, dovrebbe muoversi attraverso questa sequenza, prima entrare in contatto con i vissuti emotivi e poi spostarsi, lentamente, verso il livello cognitivo, di maggiore consapevolezza.

La psicologia che sta dietro il cartone Inside Out ci dice non solo che le emozioni sono importanti e non, come si credeva un tempo, da tenere sotto controllo, pericolosi agenti di disturbo per il pensiero razionale, ma che noi siamo esseri relazionali, entriamo in contatto con l’altro fin dal concepimento, ci connettiamo, per utilizzare un termine moderno, e grazie a queste relazioni possiamo permetterci di esplorare il nostro mondo interno, le nostre fantasie, la nostra storia e immaginare e progettare il nostro futuro.